Il testo riprende alcuni dei 195 modi diversi con cui il Cristo è chiamato nella Bibbia. “Fonte della vita” lo definisce Pietro in Atti 3,15 rivolgendosi agli Israeliti dopo la guarigione dello storpio, e anche il salmo 36: “è in te la fonte della vita, alla tua luce vediamo la luce”. “Principe di pace” è il nome che usa il profeta Isaia al capitolo 9 (lettura della messa nella Notte di Natale): “un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace”. Il profeta Malachia parla invece di Cristo come di “giustizia”: “Sta per venire il giorno rovente come un forno. Allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia, saranno come paglia; quel giorno venendo li incendierà in modo da non lasciar loro né radice, né germoglio. Per voi, invece, cultori del mio nome, sorgerà il sole della giustizia” (4,1-2). “Luce del mondo” si definisce Gesù stesso nel Vangelo di Giovanni nell’episodio della guarigione del cieco: “Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo”. Ognuno di questi modi di chiamare il Salvatore ha associato un verbo all’imperativo: “vieni”, “dona”, “abita”. È l’incessante richiesta dell’uomo perché venga il Salvatore, richiesta che percorre tutta la storia della salvezza e continua a levarsi anche oggi dalle labbra dei credenti. “Avvertiamo – affermava Paolo VI, nell’aprile del 1971 – nell’umanità un bisogno doloroso (e in un certo senso profetico) di luce, di pace e di speranza, che è il respiro della vita. Senza speranza non si vive. L’attività dell’uomo è maggiormente condizionata dall’attesa del futuro, che dal possesso del presente”.